Lo scandalo che ha sconvolto tutti. MATTEO SALVINI non sapeva che la telecamera stesse ancora registrando. E’ questa la fine della sua carriera?

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Lo scandalo che ha sconvolto tutti. MATTEO SALVINI non sapeva che la telecamera stesse ancora registrando. E’ questa la fine della sua carriera?

Il problema non è Salvini, ma chi non spegne la telecamera (e non fa le domande giuste).

Nessun giornalista ha criticato in diretta il leader della Lega mentre a Bologna citofonava a casa del 17enne tunisino accusato da una signora di spacciare.

Il rischio è trasformare i microfoni in megafoni, senza mediazione.

Il problema non è Salvini. Non è neanche la diffamazione o lo show davanti al citofono.

Nemmeno la superficialità della donna che a Bologna, quartiere Pilastro, ha indicato al leader della Lega l’abitazione di un 17enne tunisino accusandolo di spacciare perché altrimenti «come fa il figlio di un corriere a indossare i vestiti della Nike e ad andare in vacanza in Sardegna per un mese e mezzo?» (Sì, ha detto proprio così).

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Lo scandalo che ha sconvolto tutti. MATTEO SALVINI non sapeva che la telecamera stesse ancora registrando. E’ questa la fine della sua carriera?

Il problema è che i microfoni e le telecamere erano accesi per riprendere l’ennesima volta la politica che diventa show. E nessuno dei giornalisti presenti ha criticato il gesto del leader della Lega.

Anzi: «Che cosa sta facendo? Faccia la telecronaca».

Tutto normale, è una notizia.

Lo spettacolo deve continuare.

Ma dopo? Nessuna domanda.

Perché lo ha fatto?

Su quali basi ha dato a qualcuno dello spacciatore?

Come fa a fidarsi di una parola di una residente?

Perché ha pronunciato il nome, violando la sua privacy?

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Non pensa che le persone debbano essere giudicate dalla giustizia? Niente.

Salvini ci è riuscito ancora: il colpo a effetto che fa parlare di lui per due giorni su tutti i media.

Nelle colonne destre dei quotidiani online, nelle prime pagine dei giornali di carta, nei servizi dei tg e dei giornali radio. Il meccanismo lo conosciamo.

Lo ha spiegato benissimo su Linkiesta Matteo Flora.

Salvini sceglie un tema di interesse: in questo caso il sempreverde tema della “sicurezza”.

Fa un gesto eclatante o pronuncia una frase provocatoria a effetto.

Si crea la polemica, il tema divide, il Paese ne parla e Salvini ottiene il risultato che voleva: far parlare di sé e far aumentare le interazioni nei social network.

Un effetto decisivo per spingere la candidata della Lega Lucia Borgonzoni a tre giorni dalle elezioni regionali Emilia Romagna.

Come con le nocciole turche della Nutella, il Mes che ruba i risparmi degli italiani o il «raderemo al suolo la casa della fottutissima zingara».

Il problema non è il messaggio ma chi lo veicola senza filtri.

Nessuna lezione, perché manca il pulpito da cui farla, ma bisogna chiederci se siamo arrivati a questo punto anche perché manca una mediazione intellettuale tra il fatto e la sua diffusione.

Senza, diventiamo solo dei reggi microfoni.

Tutti riportano la stessa dichiarazione che rimbalzerà in video tutti uguali con lo stesso titolo.

Cambia solo l’angolazione del video.

E chi l’ha sparata grossa ha ottenuto il suo scopo.

Nessun idealismo, per carità.

Quando un politico è in campagna elettorale e visita un mercato, un’azienda, un gruppo di persone, non può concedere 150 interviste singole.

Ma almeno si potrebbe evitare di trattare come un appestato il giornalista che fa una domanda meno comoda delle altre.

È successo lo scorso giugno, quando una collega di Sky ha incalzato il leader della Lega sulla definizione del porto sicuro di Tripoli per la nave Sea Watch che si trovava a 15 miglia dall’isola di Lampedusa.

«Scusi lei fa politica o fa domande?

Se lei fa politica si candida nella sinistra».

E nessuno a difendere la collega e a fare per lei le stesse domande fin quando non si riceve una risposta compiuta all’obiezione fatta.

Articolo per intero su @Linkiesta.it

 

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