Convivere con ansia e attacchi di panico e ridurre lo stigma sociale.
l primo passo per affrontare l’ ansia e gli attacchi di panico è cercare l’aiuto di uno specialista ma è anche di vitale importanza non tenersi tutto dentro.
Stabilire limiti, fermarsi, circondarsi di chi ci ama per come siamo senza farci sentire come fossimo un mattone troppo pesante da portare sulle spalle.
Da qualche mese gli attacchi di panico hanno ricominciato a bussare forte alla mia porta.
Li sento entrare come fosse un gatto che trova sempre il modo di infilarsi attraverso una fessura.
Ne sento i passi e comincio a tremare perché so bene che salterà sul letto con prepotenza, venendomi ad annusare, facendomi sudare senza che sia in grado di evitarlo.
Gli arti si immobilizzano, il petto diventa sempre più caldo come se vi fosse in atto un incendio.
Man mano si espande, fino a raggiungere la gola e poi il cervello, ostruendo ogni via d’uscita. In posizione supina faccio respiri sempre più profondi, sino a riprendere lucidità.
“Il gatto è tornato”, pensai al verificarsi del primo episodio, sussurrando tra me e me, col braccio ancora indolenzito, che ero ancora viva.
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Convivere con ansia e attacchi di panico e ridurre lo stigma sociale.
La mia esperienza non è diversa da quelle che mi sono state raccontate da chi ne soffre.
Forti palpitazioni, sudorazione intensa, sensazione di soffocamento, dolore al petto, fatica nel respirare e paura di morire sono tra i sintomi di un attacco di panico, una delle manifestazioni più comuni dell’ansia patologica, un’esternazione di paura intensa accompagnata da sintomi sia somatici sia cognitivi, con un inizio improvviso che raggiunge un apice per poi ritornare lentamente alla stabilità.
Un recente studio condotto da alcuni ricercatori inglesi ha evidenziato che il Covid-19 ha avuto un impatto notevole sulla salute mentale dei giovani, con un aumento dei sintomi depressivi pari al 6%.
Convivere con ansia e attacchi di panico e ridurre lo stigma sociale.
Marta ne ha sempre parlato apertamente per normalizzarli il più possibile, trovando sostegno tra le persone a lei più care.
“Ci sono state persone che non hanno saputo gestirlo, ma non li biasimo, perché non ci hanno mai insegnato come trattare le persone che soffrono di ansia o altri problemi legati alla salute mentale”, ha detto Marta.
Al contrario, Gabriella, una venticinquenne napoletana neolaureata in medicina, ha fatto fatica a raccontare quel senso di morte imminente, soprattutto in famiglia.
“Per i miei genitori semplicemente non ero abbastanza forte se richiedevo l’appoggio di uno psichiatra, dovevo cercare di non pensare ai momenti in cui soffrivo”, mi ha detto Gabriella.
Quel tentativo di minimizzare ha lentamente generato in Gabriella un senso di inadeguatezza e di impotenza, facendole meditare il suicidio.
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Per fortuna ora Gabriella sta meglio, complice il ritorno alla normalità a seguito del lockdown.
Alessia Romanazzi, psicoterapeuta, ha sottolineato come in molti considerino l’ansia un sintomo che nasce per far del male.
In realtà ha lo scopo di “portare un messaggio, comunicare che qualcosa non va, che abbiamo lasciato indietro un bisogno o calpestato una paura”.
“È come se ci rompessimo una gamba: possiamo aspettare che vada a posto da sola, ma rischiamo che l’osso si calcifichi male.
Un giorno qualcuno mi ha detto che col tempo sarei diventata “amica” dell’ansia, così ho cercato di stringere amicizia.
Ogni rapporto è come un fiore che ha bisogno di cura, pazienza, tanto impegno per poter sbocciare, e questo non ne è esente.
Non credo la possa già considerare la mia migliore amica, ma è parte di me, ragion per cui ho imparato ad ascoltarla e pian piano a fidarmi, perchè so che mi dice sempre la verità, senza omettere alcun dettaglio, anche apparentemente irrilevante.
E alla fine è tutto ciò che conta, perché come mi hanno insegnato Marta, Gabriella, Giada, la prima cosa sei e sarai sempre tu.
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